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CIPPI DI CONFINE SUL MONTE PALOSSO

Secondo gli storici Guerrini e Fè d’Ostiani, il monte Palosso fino agli albori del secondo millennio era di proprietà vescovile. Agli inizi del XI secolo il vescovo Olderico cedette la montagna al nascente Comune di Brescia, che concesse ai propri cittadini il diritto di pascolare e di raccogliere la legna secca. La proprietà si estende sulla cima e lungo i versanti dei comuni di Navi, Cortini, Bovezy, Artegnadi, Plebis, Concesy, Costory, Cobiady, S.Vigily et Carcina. Confina anche con i comuni di Lumezzane e Sarezzo, che però non hanno mai avuto proprietà cittadine.

Negli anni 1225 e 1226 Nave rivendica le sue proprietà, usurpate dalla città sul confine tra Lumezzane e Concesio. Qualche anno dopo, nel 1232, i Consoli dei comuni interessati devono presenziare alla definizione dei propri confini con i sovrintendenti appositamente eletti da Brescia.

 

L’Enciclopedia Italiana Treccani indica che “Il termine, sia esso lapideo o ligneo o consistente in un albero, in una siepe, in un fosso, in un sentiero, è il segno di confine fra due fondi” e risale al periodo babilonese. Durante l’impero romano l’usanza di porre sui confini cippi lapidei (limites lapides signatae) era accompagnata da una speciale cerimonia ed erano posti sotto la protezione del dio Termine: chi li avesse fatti cadere durante l’aratura era maledetto. Ed è proprio romana la consuetudine di porre sotto il termine in pietra carboni, ossi, ceneri o terrecotte: i cosidetti “testimoni”. Il rito di porre sotto il cippo un pezzo di terracotta (tegola o coppo) da parte di ogniuno dei presenti alla posa (i confinanti ed il testimone) è ancora ricorrente nelle nostre vallate alpine.

Con il cristianesimo prende piede anche l’usanza di scolpire sul termine una croce, quale “religiosa” protezione. Da ricordare la legge agraria di Leone III (sec. VIII) in cui si rimarca che, in caso di conflitto tra i vicini, “il confine antico sia intagibile”.

Le pene per chi osasse rimuovere i termini erano pecuniarie per i ricchi, con la confisca di una parte del loro patrimonio, e capitali per i poveri. I tedeschi, nel medioevo, piantavano il reo con la testa all’ingiù lasciando lui come segno di confine, oppure lo seppellivano vivo nel confine fino al petto e poi gli passavano sopra con l’aratro. Oggi, la rimozione dei termini è punita con meno rigore.

 

Fra il 1488 e il 1503 la dominazione della Serenissima Repubblica vede ancora il monte Palosso, chiamato anche Palozzo o Palazzo, oggetto di frequenti litigi, contrapposti da una parte la città di Brescia e dall’altra i Comuni ed i privati. Per tentare di sedare tali controversie tra la fine del 1400 e l’inizio del ‘500 sono posati numerosi termini con l’insegna della città, rappresentante un leone rampante. La tracciatura dei confini è fatta con rappresentanti locali e confinanti, lungo le Sgabiade (sentieri). Questi termini sono di pietra calcarea e di forma quadra, sporgenti circa 50 centimetri dal terreno, con la figura felina scolpita o in bassorilievo, rivolta verso la proprietà.

Ancora oggi, dopo mezzo millennio, ci si può imbattere percorrendo i boschi del Palosso, quasi a rammentare che il tempo per loro non passi mai. 

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